Gestire attività di digital marketing o anche semplici campagne Facebook Ads o Google AdWords non può prescindere da una valutazione precisa dell’apporto di ogni fonte di traffico alle conversioni e al fatturato della azienda.
La regola per assegnare a una o più fonti di traffico il “merito” di aver generato una vendita o, più in generale, una conversione si definisce modello di attribuzione.
Uno dei modelli di attribuzione classici è quello dell’ultimo clic (o ultima interazione). In questo caso, all’ultima fonte di traffico dalla quale il visitatore accede al sito (prima di effettuare una conversione) è attribuito tutto il merito.
Per fare un esempio: se un visitatore accede al sito X oggi da Facebook, domani da un annuncio AdWords e tra due giorni effettuerà un acquisto passando da una ricerca organica su Google, quest’ultima sarà considerata come la sorgente che ha generato la conversione.
È facile comprendere quindi che, adottando questo modello di attribuzione, tutte le fonti di traffico che si focalizzano sulla parte finale del funnel (vedi immagine sotto) ne risultino avvantaggiate, in quanto si rivolgono a un pubblico che ha potenzialmente una maggiore tendenza a convertire.
Campagne di digital marketing: i modelli di attribuzione
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Le campagne di awareness invece, mirate ad accrescere la conoscenza e la credibilità di un marchio, più raramente portano a una conversione immediata da parte del visitatore in termini di acquisto, ma possono contribuire a rendere un visitatore un futuro cliente.
Pertanto scegliere di prendere decisioni basate solo sul modello di attribuzione “ultimo clic” è solitamente una scelta piuttosto miope. Questo modello, ad esempio, potrebbe portare a credere che tutte le vendite sul proprio sito siano generate da accessi diretti e quindi tutti i soldi investiti in attività pubblicitarie sono inutili.
Il modello di attribuzione “Ultima interazione” non è ovviamente l’unico. Ultimamente sta prendendo sempre più piede la tendenza verso modelli di attribuzione algoritmici, che si basano sull’analisi automatizzata dei dati raccolti. Questo metodo di valutazione, non utilizza regole di valutazione rigide, ma si adatta in base all’analisi del comportamento degli utenti che convertono e di quelli che non convertono.
I modelli di attribuzione basati su un algoritmo, attribuiscono un valore diverso a ogni clic che genera una visita verso il sito, in base ad esempio:
- al numero di clic necessari per una conversione;
- alla pagine visualizzate per ogni clic;
- alla frequenza di rimbalzo di ogni clic;
- alle micro conversioni effettuate per ogni clic.
Una recente analisi condotta da AdRoll ed Econsultancy e resa disponibile in un report pubblicato lo scorso mese di agosto, ha analizzato il panorama dell’utilizzo dei vari modelli di attribuzione in UK, Francia e Germania. Ecco alcuni dei dati emersi dal report:
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Come si evince dal grafico, i modelli di attribuzione più comuni sono quelli che attribuiscono il merito a una sola sorgente: l’ultima nel caso del Last-click, o la prima nel caso del First-click. Questo non è un dato particolarmente incoraggiante.
Salvo rari casi infatti, ogni volta che attribuisci il 100% del merito di una conversione a una singola sorgente di traffico, probabilmente stai sbagliando qualcosa.
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Dalla tabella, che riporta le opinioni dei 145 responsabili aziendali intervistati, risulta chi i modelli di attribuzione algoritmici sono quelli che riscuotono il maggior consenso in termini di efficacia, seguiti da quello post-click.
In questo breve post è impossibile esaurire completamente questo argomento, ma è chiaro quanto la questione dei modelli di attribuzione sia al contempo complessa e fondamentale per analizzare correttamente le proprie attività di digital marketing.
L’impiego di un modello a discapito di un altro può portarti a sprecare il tuo budget sulle sorgenti sbagliate e magari a ridurlo su quelle che invece ti portano nuovi clienti.
Tratto dall’articolo Modelli di attribuzione e campagne di digital marketing di Motoricerca.
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